Discriminato alla Marangoni La Cassazione ordina il reintegro del disabile

di Nicola Guarnieri

Ha resistito, si è sforzato di sostenere l’impatto economico per far valere i suoi diritti e alla fine ha avuto ragione. In maniera definitiva e perentoria perché l’ultimo atto della battaglia contro la grande azienda ha decretato la vittoria dell’operaio sulla Marangoni.
La corte di cassazione, ultimo grado di giudizio, ha infatti confermato che il licenziamento di T. D. da parte del colosso della gomma è stato illegittimo. E ha dunque ribadito il reintegro del lavoratore e il pagamento di tutti i salari arretrati.

«Chi la dura la vince», recita un vecchio adagio, e per T. D. è stato davvero così. Nonostante la tentazione di mollare tutto per evitare altri esborsi in un contenzioso legale che lo stava finanziariamente dissanguando. Accanto a lui, ovviamente, c’è sempre stato il sindacato, l’Sbm di Fulvio Flammini.

La società di via del Garda, dopo aver vinto in primo grado e perso la causa di lavoro in appello, è stata dunque condannata anche dalla suprema corte romana. E dovrà pure accollarsi 5.200 euro di spese. L’unico operaio dei 46 lasciati a casa grazie alla procedura di licenziamento collettivo avvenuto nell’estate 2016 ha dunque riconquistato il posto in fabbrica.
 
L’accordo sindacale per l’espulsione di massa (40 operai e 6 impiegati), come si ricorderà, era stato siglato il 3 agosto 2016 fra la direzione dell’impresa, assistita dalla Confindustria, e la Rsu con il contributo della triplice di categoria Femca-Cisl, Filctem-Cgil, Uiltec-Uil.
T. D., però, ha ritenuto illegittimo il provvedimento e, soprattutto, ha sempre ribadito di essere stato discriminato in quanto disabile. E tanto per l’appello che per la cassazione i benservito è stato proprio discriminatorio. Di qui l’ordine alla Marangoni spa di reintegrare l’operaio nel posto di lavoro e di pagare la retribuzione globale pari a 2.054,43 euro mensili dalla data del licenziamento al ritorno nello stabilimento con la tuta blu; oltre, chiaramente, alla rivalutazione e agli interessi dalle singole scadenze al saldo.

La disabilità, per capirci, non era innata ma sopraggiunta proprio durante l’attività professionale nel reparto gomme piene. E, si legge in sentenza, «secondo la convenzione di New York del 2006, è da intendersi come limitazione fisica di lunga durata e consistente in una sorta di patologia cardiaca e dell’apparato respiratorio che ne hanno determinato l’inidoneità permanente alle mansioni svolte. Il trattamento meno favorevole è consistito dapprima nella sospensione in cassa integrazione straordinaria senza rotazione e poi nella mancata assegnazione di un punteggio per l’esame comparativo nella scelta dei lavoratori da licenziare».

Per gli ermellini, «l’invalidità del lavoratore per malattia intervenuta nel corso del rapporto di lavoro determina un giustificato motivo oggettivo di cessazione del rapporto quando realizzi una impossibilità sopravvenuta della prestazione che deve essere valutata in relazione alla molteplicità dei possibili impieghi a cui il lavoratore può essere adibito in ambito aziendale. Grava sul datore di lavoro dedurre e provare la mancanza di mansioni confacenti».

La corte, infine, ribadisce che «la scelta di non assegnare alcun punteggio a T. D. rivela il suo intrinseco carattere discriminatorio perché basata sulla non comparabilità della posizione lavorativa dell’operaio rispetto agli altri dipendenti non affetti da disabilità».

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