Scarcerato Bertolini, accusato di essere un foreign fighter di Mori per i russi: “Ma non ho mai combattuto”
Il giovane fu arrestato dai Ros a Malpensa, al ritorno dall’Ucraina. Cinque mesi di cella dopo l'inchiesta della procura di Genova, ma adesso è a casa con la moglie e i due figli: in attesa dell’udienza del processo avrà solo l'obbligo di dimora
DIFESA «Avevo la divisa, ma non ho combattuto per la Russia»
STORIA Da Rovereto in Ucraina tra le fila dei separatisti russi
MORI. Era stato arrestato il 29 giugno, fermato dai carabinieri del Ros, mentre scendeva dall'aereo appena atterrato a Malpensa dopo il volo diretto da Mosca. Cinque mesi dopo, Alessandro Bertolini è tornato a casa, a Manzano, frazione di Mori.
È tornato a casa assieme alla moglie Diana e ai due figli (uno ha poco più di un mese) quasi libero. «Per lui è stato previsto l'obbligo di dimora - spiega il suo legale, l'avvocato Massimiliano Luigi Scialla - e quindi non potrà uscire dal perimetro del suo Comune di residenza che è Mori. Questo in attesa dell'udienza di metà dicembre».
Udienza che dovrebbe concludersi con la decisione del giudice per il 29enne che era stato arrestato perché accusato di essere un foreign fighter, ossia di aver combattuto - da italiano - nel Donbass assieme all'esercito russo.
Secondo la procura di Genova, che ha indagato e individuato altri mercenari che sarebbero stati attivi nell'oblast ucraino: di fatto territorio russo, il lagarino avrebbe compiuto «azioni, preordinate e violente, dirette a mutare l'ordine costituzionale o a violare l'integrità territoriale dell'Ucraina, Stato estero di cui non era cittadino né stabilmente residente, senza far parte delle forze armate di alcuna delle parti in conflitto».
Un'accusa pesante che prevede una condanna che può andare dai tre agli otto anni. Cosa è successo ora? È successo che dopo l'udienza della scorsa settimana, sono state riviste dalla procura le accuse contro Bertolini. Che aveva per la prima volta parlato davanti al giudice spiegando quello che aveva sempre sostenuto in precedenza («Io non ho mai combattuto») ma argomentando in maniera accurata.
Un racconto che ha trovato conferma anche nelle parole della moglie Diana, comparsa in aula a testimoniare con in braccio il secondogenito. «Quello che è emerso - spiega l'avvocato Scialla - è che se ci sono state delle violazioni si tratta di comportamenti che prevedono delle lievi sanzioni, una pena inferiore ai due anni. Per questo la procura ha chiesto la scarcerazione del mio assistito: per condanne possibili sotto i due anni non è prevista la carcerazione preventiva». La richiesta di liberazione è quindi partita dalla stessa procura di Genova, è passata al controllo del giudice che l'ha concessa.
E così Alessandro Bertolini è tornato a Manzano, nella casa che aveva lasciato a 19 anni. Prima la sua destinazione era stata l'Australia dove aveva iniziato l'attività di apicoltore, Poi a 22 anni l'arrivo nel Donbass. Qui ha conosciuto Diana e insieme hanno cercato di formare la loro famiglia lì. Bertolini ha ammesso di aver sì sparato al poligono e rilasciato interviste di sostegno alla questione russa, ma ha anche chiarito di non aver mai combattuto.
Prima della prossima udienza, Diana e Alessandro Bertolini non vogliono rilasciare dichiarazioni, vogliono aspettare la decisione del giudice, ma spiegano di «essere felici» per la scarcerazione. Soddisfatto della richiesta della procura anche l'avvocato Massimiliano Luigi Scialla