Il ricordo di Luigi Cobbe nelle parole del nipote: «Dopo 90 anni so che fine ha fatto mio zio»
La vicenda del militante antifascista roveretano ricostruita dal Laboratorio di Storia di Rovereto, dopo l’appello di Roberto Cobbe, oggi 82enne. Il ricercatore Diego Leoni: «Sono state studiate le vite di 223 trentini grazie all’archivio e tra i parenti delle vittime, superando i confini nazionali»
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ROVERETO. Quando su L'Adige di due anni fa lesse un articolo che annunciava l'inaugurazione di una mostra sui deportati trentini nei campi di concentramento nazisti, Roberto Cobbe, roveretano di 82 anni, si incuriosì. Era il gennaio del 2022 e le storie di oltre duecento trentini deportati nei campi disseminati in tutta Europa erano esposte nell'atrio dell'istituto Don Milani.
«Decisi di andare a dare un'occhiata, per sapere se esisteva qualche notizia di Luigi Cobbe, fratello di mio padre. Di mio zio si sapeva solo che era stato in Francia e poi in qualche campo di concentramento, nient'altro». Proprio dalla volontà di ricostruire le vicende dei trentini deportati nei campi aveva preso le mosse qualche anno prima la ricerca del Laboratorio di Storia di Rovereto. Per restituire alle vittime la dignità della memoria attraverso la ricostruzione della loro vita, o «almeno i nomi (e i volti)», come recita il titolo dell'esposizione realizzata in collaborazione con Anpi e Arci.
«Non riuscendo ad individuare niente che potesse ricondurre all'identità di mio zio Luigi, chiesi ai ricercatori che stavano allestendo la mostra. Il nome di Luigi Cobbe era per loro nuovo, e così assieme a una ricercatrice andai al Laboratorio di Storia di Santa Maria. Consultando una serie di archivi on line si trovò la conferma della deportazione di mio zio a Mauthausen».In seguito, grazie alla segnalazione di Roberto Cobbe, furono contattati dal Laboratorio i ricercatori Lorenzo Vicentini ed Enzo Ianes, che si erano già occupati dei volontari trentini in Spagna. «Abbiamo ricostruito la vita di Luigi Cobbe, dall'arruolamento come volontario nell'esercito repubblicano spagnolo all'internamento in Francia e poi a Mauthausen» spiega Diego Leoni, ricercatore.
«La famiglia di mio zio Luigi era numerosa - racconta Cobbe - come tante all'epoca. I genitori, Giacomo Cobbe e Maria Zoner, originari della Vallarsa, avevano otto figli». Luigi, nato nel 1912, si era diplomato ragioniere all'Istituto Fontana. Era ancora un ragazzo, ma sulle questioni politiche aveva le idee chiare. Apertamente contrario al fascismo, si avvicinò prima alle idee e agli ambienti comunisti, poi a esponenti anarchici e al movimento "Giustizia e Libertà". Finché decise di arruolarsi volontario nelle forze militari repubblicane antifranchiste e nell'autunno del 1937 partì per la Spagna.
Assegnato al quarto battaglione della Brigata Garibaldi, un anno dopo Luigi Cobbe fuggì in Francia, forse ferito. Qui venne arrestato e internato a Gurs. Nel 1940, dopo la battaglia di Dunkerque, venne catturato dai soldati tedeschi e transitò come prigioniero di guerra dallo Stalag VIII C di Sagan e dal XII D di Trier. Fino ad arrivare, a gennaio del 1941, a Mauthausen, numero di matricola 3638. Il trentino Luigi Cobbe rimase nel campo austriaco fino all'arrivo degli Alleati, il 5 maggio 1945.
«È stato possibile ricostruire tutte le vicende di Cobbe e le vite di altri 222 trentini grazie a una ricerca di dimensioni internazionali - prosegue Leoni - All'origine del nostro lavoro ci fu l'idea di Roberto Tomazzoni (marito di Egea Haffner, la "bambina con la valigia" simbolo dell'esodo giuliano-dalmata del secondo dopoguerra, ndr), roveretano da sempre appassionato di studi storici. Andò personalmente a visitare il centro di Arolsen - il più grande archivio del mondo sulle vittime del nazismo - dove trovò una serie di documenti relativi ai nostri trentini. Abbiamo studiato molto anche negli archivi di polizia francesi e tedeschi, grazie alla nostra vasta rete di collaboratori».
«In alcuni casi invece abbiamo lavorato su fonti familiari e non è stato facile, ci vuole molta delicatezza. È stata una ricerca complicata e difficoltosa, che ha richiesto un grande impegno di carattere civile. Molti di questi uomini sono morti nei campi senza lasciare traccia dei loro corpi e delle loro memorie. I pochissimi sopravvissuti una volta tornati sono scivolati nell'ombra, come uomini qualunque».
«Tutto l'apparato istituzionale che lavora sulla Giornata della memoria e sul 25 aprile non ha mai ricordato questi uomini. Trentini, quasi tutti antifascisti, che appartenevano a una resistenza strisciante, che ha avuto poca risonanza. Anche perché si è svolta all'estero, quindi un po' occulta e poco considerata. Abbiamo ricostruito storie di vite spezzate, gente umile fuoriuscita perché antifascista. E qui da antifascista negli anni Venti e Trenta non si viveva. Poi la guerra ha fatto il resto».