Adesso serve un governo politico
Ora le forze politiche del Paese hanno davanti a sé la possibilità di riscattarsi da decenni di colpevole pusillanimità, mancanza di coraggio e devastante perseguimento soltanto del proprio interesse di parte, di corrente, di vertice e di nomenklatura. Non ci sarà più un'altra carta da giocare. Questa è l'ultima. Purtroppo non solo per loro, ma per l'Italia interaI tuoi commenti
Con il giuramento di Giorgio Napolitano, dodicesimo Presidente della Repubblica, ora tocca ai partiti e alle forze politiche in tempi rapidissimi dare al Paese il nuovo governo. Un governo che, a questo punto, non può che essere politico: forte, autorevole, in grado di realizzare le riforme indispensabili per riavvicinare i cittadini alle istituzioni, e rimetterle così in condizioni di funzionare.
Un governo, pertanto, che abbia al suo interno autorevoli esponenti politici dei partiti che lo sostengono, in un mix di tecnici e politici di area, proprio per costringere i partiti ad assumersi fino in fondo le proprie responsabilità.
Nel discorso di giuramento è stato lo stesso Capo dello Stato a richiamare severamente le forze politiche al loro compito, a cui si sono irresponsabilmente sottratte non solo nei sessanta giorni che sono trascorsi dalle elezioni ma nei due decenni precedenti. E Napolitano ha usato parole durissime verso i partiti «sordi e sterili», che hanno dilapidato il patrimonio di fiducia e di sostegno che i cittadini hanno accordato loro in tatticismi e faide interne, in veti contrapposti e presuntuose autoassoluzioni, sperperando tempo prezioso e intere legislature, che sono state buttate al vento nell'inconcludenza più assoluta.
Non è più tempo di ingovernabilità, ed esecutivi fragili e litigiosi. I partiti, a cominciare dai due maggiori, Pd e Pdl, hanno l'obbligo di fronte ai cittadini tutti di rispondere alla chiamata. Anche perché la riconferma straordinaria di Napolitano al Quirinale costituisce una sorta di «tempi supplementari» concessi ai partiti, oltre il quale non c'è più niente. Perché, così com'è, il sistema non è più in grado di reggere, come s'è ben visto al momento dell'elezione del nuovo Presidente.
Il richiamo pesante e senz'appello del Capo dello Stato ai partiti (compresi quelli che si autodefiniscono movimenti, non accorgendosi che una volta eletti sono parte dell'istituzione, non un corpo extraparlamentare) è certamente motivato dalla gravità del momento e dalla pericolosità della situazione creata dal vuoto della politica e dalla paralisi delle istituzioni. Ma tanto più si è reso necessario di fronte al caos dominante in quello che deve per forza essere una delle colonne del nuovo governo: il partito democratico.
Dal Pd, finora, tutte le volte che la storia ha chiamato, è giunto in risposta un assordante vuoto. Tutte le volte che il partito democratico si è trovare davanti alla porta per fare gol, ha calciato in aria non sapendo dove tirare. Se anche questa volta non sarà capace di giocare, non ci sarà un'altra occasione. Non ci sarà un'altra partita. Avrà dimostrato per sempre la sua inutilità. Buono soltanto, come è stata la sinistra per decenni, a rincorrere chi è più a sinistra, non accorgendosi di finire così fuori gioco. Anzi, fuori campo. Non rendendosi conto che la partita si stava giocando altrove.
Del resto, si è visto durante il governo tecnico guidato da Mario Monti che l'assenza di politici nell'esecutivo è stato l'alibi per spararvi contro, un giorno sì e l'altro pure. Da parte di entrambi i due azionisti di riferimento dell'esecutivo tecnico, il Pdl e il Pd, che addirittura l'hanno disconosciuto, dopo averlo sostenuto e votato per tredici mesi, di fronte agli elettori. Il governo che in tempi brevissimi dovrà nascere non può pertanto che essere politico, composto da politici, per evitare il bis di quanto avvenuto con Monti. E dovrà costitutivamente occuparsi delle riforme, comprese quelle elettorali, istituzionali e costituzionali.
I partiti e gli apparati, scampato il pericolo del crollo del sistema con il sacrificio imposto a Napolitano, hanno cercato fin da subito di scantonare, sia sull'assunzione di responsabilità dirette nel governo, sia sulle riforme da fare. Come leggere altrimenti la richiesta, venuta da esponenti sia del Pdl che del Pd, di non affidare al nuovo governo le riforme, ma di nominare un'apposita costituente, una grande commissione bicamerale, un'assise dei partiti per discutere, e discutere, e discutere. Un modo come un altro per non fare nulla, come i partiti non hanno fatto nulla al riguardo fin dai tempi della commissione Bozzi, passando per la bicamerale D'Alema, fino ai tredici mesi del governo tecnico, in cui spettava ai partiti fare le riforme - prima di tutte quella elettorale - che si sono ben guardati dal fare.
Il messaggio di Napolitano alle Camere è stato chiaro: basta «contrapposizioni, lentezze, esitazioni circa le scelte da compiere, calcoli di convenienza, tatticismi e strumentalismi». È proprio questo che «ha condannato alla sterilità o ad esiti minimalistici - parole del Capo dello Stato - i confronti tra le forze politiche e i dibattiti in Parlamento».
Ora le forze politiche del Paese hanno davanti a sé la possibilità di riscattarsi da decenni di colpevole pusillanimità, mancanza di coraggio e devastante perseguimento soltanto del proprio interesse di parte, di corrente, di vertice e di nomenklatura. Non ci sarà più un'altra carta da giocare. Questa è l'ultima. Purtroppo non solo per loro, ma per l'Italia intera.
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