Il rapporto speciale tra il Trentino e la Germania grazie alla Fondazione Kessler
Massimo Rospocher è il nuovo direttore dell’Istituto storico italo-germanico: «Le istituzioni locali devono lavorare in sinergia, invece di contendersi spazi sempre più stretti. Siamo di fronte a un momento di grande cambiamento, può essere di crisi o fecondo»
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TRENTO. Massimo Rospocher, trentino di Calliano, laureato in lettere all'Università di Trento (con lode), 50 anni, molte esperienze di studio e di ricerca all'estero (tra cui quattro anni a Leeds, in Inghilterra, e uno a all'Università di Yale, negli Stati Uniti) è il nuovo direttore dell'Isig, l'Istituto storico italo-germanico, centro di ricerca della Fondazione Kessler.
Da ricercatore dell'istituto è stato scelto per guidare l'Isig nel cinquantesimo anniversario dalla fondazione, avvenuta nel 1973. Vista l'esperienza internazionale di Rospocher, possiamo parlare di un «cervello di ritorno» dall'estero. La scelta di restare in Italia tra l'altro merita di essere raccontata:
«Mia moglie (Rosa Salzberg, oggi professoressa di Storia a Sociologia, ndr) nel 2019 aveva ricevuto un'importante offerta di lavoro nella sua città, Melbourne, e con la famiglia (la coppia ha due figlie, ndr) eravamo in procinto di spostarci a vivere in Australia. Abbiamo cambiato idea proprio all'ultimo minuto, su un traghetto di ritorno dalla Sardegna. Senza grandi certezze, a dire il vero. Quando si fanno scelte di vita, non si è mai certi di aver preso la decisione giusta. Direi che ne è valsa la pena».
Direttore, oggi qual è il ruolo dell'Istituto italo-germanico?
Rimane un forte legame con la tradizione, siamo sempre una «stazione di posta» tra il mondo accademico germanico e quello italiano, come diceva Prodi. Certo, i tempi cambiano.
E anche l'Isig si è aggiornato.
Sì, perché il confine tra le discipline è sempre meno netto. II nostro ora è un istituto che guarda alla storia in maniera europea, comparativa, nel senso più ampio.
Oggi lo studio della storia è in crisi. Lo storico Emilio Gentile ha detto: «Siamo una riserva indiana».
Siamo davanti ad un grande cambiamento, che può essere momento di crisi oppure fecondo. Quando si parla di crisi della storia, una cosa che le molte istituzioni locali che si occupano di storia a vari livelli (università, ricerca, associazioni, musei) dovrebbero fare, anziché contendersi spazi culturali sempre più ristretti, sarebbe di operare in maniera più sinergica. Sia a livello di ricerca, che di divulgazione. Perché ci sono ambiti di ricerca che fino a pochi anni fa non c'erano.
Ad esempio in Isig cosa è cambiato?
Abbiamo sviluppato negli ultimi anni la ricerca sulla comunicazione dei media e sulla loro presenza. Un'altra urgenza del presente è poi la questione ambientale. Ma in generale vorrei trovare e sperimentare nuovi linguaggi per comunicare la storia.
Le discipline umanistiche hanno ceduto il passo alla ricerca scientifica.
Ripeto: dobbiamo guardare al momento attuale con nuovi metodi di raccontare le storie e aprirci ad un mondo più ampio. Gli storici devono re-imparare a comunicare: penso a nuovi strumenti comunicativi come le app, i podcast, il 3D e il 4D per gli storici dell'architettura. Naturalmente senza dimenticare i principi scientifici della disciplina.
Da direttore dell'Istituto italo-germanico, qual è la presenza "germanica" più forte che vede in Trentino?
Per quanto riguarda l'urbanistica, rientrando nella mia città ho riscoperto quanto sia presente il passato, ad esempio nella Contrada tedesca. Penso che sia stata dimenticata la presenza tedesca nella storia di Trento, una minoranza in una città italiana ma di sicuro importante. Con la app «Hidden Trento» (una guida multimediale nella città rinascimentale, ndr) abbiamo dato un contributo interessante per i turisti ma anche per i cittadini stessi. Restano importanti tracce materiali della presenza tedesca a Trento nel Cinquecento.
Il Trentino però non guarda più al Nord come ad un mondo di riferimento. È a rischio un'appartenenza comune?
Io credo di no. L'Euregio rappresenta un'istituzione importante, creata con lungimiranza. Sono stati realizzati progetti culturali per ricostruire il legame storico più profondo del territorio comune. Le nostre relazioni con il mondo accademico tedesco rimangono forti. Ma il problema è un altro.
Quale?
Il mondo tedesco della ricerca è ben finanziato: i fondi europei, che per noi sono vero e proprio ossigeno, in Germania rappresentano solo la ciliegina sulla torta, mentre per noi sono la torta vera e propria. Certo, in Trentino - ad iniziare dalla Fondazione Kessler - sono state fatte scelte lungimiranti su modalità uniche di finanziamento della ricerca.
Quali iniziative farete per i cinquant'anni dell'Isig?
Ci sarà un'iniziativa pubblica, che però non vogliamo ancora annunciare. Verrà assegnato il Premio Paolo Prodi, dedicato alla figura del nostro fondatore. A fine anno organizzeremo inoltre una settimana di studio, con importanti ospiti internazionali. Parleremo delle "svolte" storiografiche di oggi.
Lei è stato quattro anni a Leeds. Quanti danni crea la Brexit?
L'Inghilterra ha avuto un peso importante nel mio percorso accademico. Penso spesso a quando arrivai per lavorare a Leeds, nel 2010. Allora c'era un mondo accademico ideale: una realtà molto aperta, con una forte presenza internazionale. Nei Dipartimenti c'era posto per tanti studiosi provenienti da diverse realtà. Non tutto veniva fatto per buon cuore, naturalmente.
In che senso?
Nel senso che la presenza di bravi studiosi internazionali garantiva l'accesso ai fondi europei: non a caso le università inglesi primeggiavano nella raccolta dei fondi stessi.
Ora non è più così?
No. La Brexit ha avuto un effetto devastante. I colleghi mi raccontano che le cose sono cambiate di molto e tanti di loro vogliono andarsene, e rientrare anche in Italia. Quello inglese diventerà sempre più un mondo autoreferenziale: dal punto di vista accademico la scelta è stata miope, a dir poco. A livello personale per me è stato uno shock.
Non solo professori e ricercatori vogliono andarsene. Tanti studenti hanno fatto scelte diverse.
L'esempio della ricerca mostra come la Brexit si sia rivelata un clamoroso autogol. Tutti gli studenti volevano andare in Inghilterra, e anche i ricercatori. Annullare quei benefici ha dell'incredibile.
Lei e la sua famiglia avete scelto di stabilirvi in Italia.
Mia moglie Rosa, che al momento insegnava in Inghilterra, nel 2019 aveva ricevuto un'offerta di quelle che capitano una volta sola nella vita, e cioè di insegnare e dirigere un centro di ricerca nella sua città, Melbourne. Dove tra l'altro si vive molto bene: lei dice che a Melbourne c'è la qualità della vita che c'è in Trentino, ma si vive in una metropoli. Non ho una risposta razionale per spiegare la nostra scelta di restare.
Però non siete pentiti.
Tutt'altro. Mia moglie oggi insegna a Sociologia e io sono stato chiamato a fare il direttore dell'Istituto italo-germanico. Tutti e due nella stessa città. Trento ci piace e il Trentino è stato molto generoso con noi.
Il Trentino investe ancora nell'università e nella ricerca?
Sì. Il nostro istituto e l'università mantengono una forte apertura all'internazionalizzazione e il mondo della ricerca in Trentino è sano. Certo, le humanities e la storia devono un po' battagliare.