Un successo il raduno Roy Ski: passano gli anni, ma il marchio resta nel cuore degli sciatori
Pochi «brand» degli sport invernali hanno conservato il fascino e lo smalto degli sci Roy Ski. Negli anni Settanta furono attrezzi rivoluzionari, che portarono in Italia i primi sci a punta tonda (con il favoloso modello Hot Dog), e che furono apprezzati da generazioni di sciatori. E pensare che - invece di fabbriche tecnologiche e laboratori - avevano dietro l’inventiva di un ingegnere ed un piccolo capannone a Mori.
Sabato la magia si è rinnovata: erano più di cento gli aficionados che hanno animato alla Polsa di Brentonico l’ormai tradizionale «Vintage Party», un tuffo con gli sci ai piedi negli anni Settanta. La formuila, quest’anno, era un tour itinerante nelle baite della ski area che hanno accolto i turisti con «drink&food» a tema accompagnati dalle grandi hit del tempo. E come sempre, per chi non aveva a disposizione gli sci «vintage», il Club Roy Ski ha fornito più di 150 paia di sci per il noleggio.
Qualcuno ha voluto giustamente festeggiare con un «outfit» adeguato, con abbigliamento tipico degli anni ‘70 da sfoggiare sulle piste: completi coloratissimi, tute da sci intere rigorosamente con le spalline imbottite, maglie XXL e Ray Ban.
Eppure Roy Ski era un marchio Italian style. Anzi un marchio tutto trentino e tutto lagarino. Forse il marchio sportivo che più di tutti, fra la metà e la fine degli anni Settanta, fecero conoscere il Trentino nel mondo dello sport invernale.
Era la stagione dello sci che stava diventando sport di massa. Grandi entusiasmi, grandi business per chi fiutava l’affare, ma anche grande tecnologia: per la prima volta si passava dal legno ai materiali sintetici. La pratica sportiva dello sci usciva dalla nicchia ristretta dei cultori e diventava sport per tutti.
E il Roy Ski, fabbricato prima a Rovereto e poi a Mori, divenne presto lo sci per tutti.
In grado di competere sia per qualità che per tecnologia che per fasce di prezzo con i grandi marchi internazionali, Maxel, Spalding, Fischer.
E poi erano belli, tutti in modernissimo materiale plastico. Colori sgargianti e forme innovative. Chi, superati oggi i trent’anni, non se li ricorda?
Insomma erano i mitici Roy, quelli del «Vichingo»: i Racer Pro, gli Equipe, i fantastici e rivoluzionari Hot Dog. Ma non solo: furono anche il primo «sci corto» del mondo. E furono gli sci che in Trentino fecero imparare a muoversi elegantemente sulla neve, e con orgoglio, un’intera generazione, quella dei cinquantenni e sessantenni di oggi.
Eppure Roy Ski, che oggi sembra solo una nostalgia per quella generazione, è stata anche un importante pezzo della storia industriale del Trentino.
L’azienda nacque a Rovereto a metà degli anni Sessanta in viale Vicenza, nella falegnameria di Giorgio Piccolroaz. Allora si chiamavano, appunto, Roaz Ski. Era il momento di passaggio dallo sci in legno pregiato importato dalla Svezia ai nuovi materiali plastici. Un capitano di industria come Mario Marangoni fiutò subito l’affare ed entrò in società e finanziò il salto di qualità. La fabbrica cambiò presto nome e divenne Roy Ski («Roy manteneva l’assonanza con Roaz che era già un bel marchio - racconta oggi Italo Viola, un passato da atleta e uno dei primi venditori Roy - ci eravamo affidati ad un agenzia pubblicitaria di Milano: Roy richiamava Royal, insomma lo sci reale. E in poco tempo fu subito un grande successo commerciale»).
Da pochi dipendenti e poche migliaia di paia di sci, presto cambiò tutto; un buon marketing e tecnologie sempre più sofisticate fecero crescere l’azienda fino ad arrivare a 150 dipendenti e nei primi anni Settanta lo stabilimento si spostò alle porte di Mori; e alla guida di quello che ormai era diventato un marchio mondiale dello sci fu chiamato l’ingegnere roveretano Fabio Piccolroaz. Poi la crisi internazionale che nel 1976 colpì il mondo dell’industria anche in Trentino. Nel 1978 la fabbrica chiuse. E una montagna di esperienze e di professionalità andarono perdute. Ma il marchio, il marchio del vichingo, restò nel cuore di tutti.
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