Consigliava diete alle clienti, naturopata in tribunale dopo una denuncia anonima
Coinvolta una professionista che lavora da anni in zona: per chiudere la vicenda penale ha scelto la strada della messa alla prova in un asilo. È finita davanti al giudice accusata di esercizio abusivo della professione, visto che avrebbe indicato cibi e relative grammature senza avere il titolo di studio abilitante
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TRENTO. È stata una denuncia anonima a farla finire davanti al giudice con l'accusa di aver esercitato una professione (quella di dietista) senza aver mai conseguito il necessario titolo di studio. Di diplomi lei ne ha diversi ed ha anche una laurea ma non quella specifica che permette di esercitare il lavoro di dietista senza finire in un'aula di tribunale.
Lei è una professionista lagarina molto conosciuta e stimata in zona. Si presenta come una naturopata, consulente nutrizionale e "istruttore" di consapevolezza. Si potrebbe dire che il suo aiuto dovrebbe servire per migliorare sé stesse attraverso un corretto stile di vita. Una consulente per star meglio, insomma. Un lavoro che la donna ha portato aveva a lungo e serenamente fino a quando non è arrivata una denuncia anonima. Denuncia nella quale si spiegava che lei, oltre a dare consigli di benessere, proponeva alle sue clienti delle vere e proprie diete.
Indicando anche - e questo è un aspetto importante dal punto di vista dell'accusa - quanti grammi mangiare degli alimenti che venivano consigliati.
Se per legge ci si può fregiare del titolo di nutrizionista anche se non si ha una specifica specializzazione, per essere dietista serve aver conseguito un'apposita laurea. Che la professionista non aveva.
Ma - secondo la denuncia anonima - avrebbe lavorato come se l'avesse conseguita.
Un'accusa, questa, che la professionista ha respinto con decisione e per uscire da quella che poteva essere una lunga causa, ha scelto la strada della messa alla prova. Ieri in aula il giudice ha approvato il piano presentato che prevede che la donna debba svolgere 80 giorni di lavoro all'interno di una scuola materna.
Ma con delle limitazioni ben precise per tutto quello che riguarda il capitolo alimentazione. È stato dato il via libera anche ad un'azione riparatoria ma sarà la donna (che nel frattempo si è iscritta ad un corso di laurea triennale specifico) a decidere che cifra devolvere e a chi.
A fine anno ci sarà una nuova udienza nell'aula di corso Rosmini e in quella sede sarà fatta una valutazione su come è stata portata a termine - o meno - la messa alla prova. Ma che cosa è la messa alla prova? Introdotta nel 2014, viene richiesta dell'imputato e dell'indagato e se accolta comporta la sospensione del procedimento penale per reati di minore allarme sociale e comunque che prevedono una pena massima di sei anni.
L'esito positivo della prova comporta l'estinzione del reato. L'esito negativo per grave e reiterata trasgressione del programma di trattamento o delle prescrizioni, implica che il giudice, con ordinanza, disponga la revoca e la ripresa del procedimento.