Zanghellini, attività inquinante permessa dalla Provincia

di Giorgia Cardini

Il cartello di sequestro preventivo sabato mattina non c’era già più, sulla cancellata di via per Vezzena 3, da cui si accede agli impianti della Zanghellini Conglomerati srl, in località Quaere a Levico Terme. Sparito, probabilmente durante la notte, forse per colpa di un "vento" amico...
Così niente faceva capire, se non la notizia riportata sabato dall’Adige, che venerdì mattina polizia giudiziaria e guardie forestali avevano eseguito il sequestro firmato dal giudice per le indagini preliminari Francesco Forlenza, che non ha fermato l’attività di riciclaggio e produzione di asfalto che costituisce il core business aziendale, ma ha nominato amministratore un tecnico super partes perché «prosegua nella gestione dell’azienda e adotti le misure tecniche volte alla risoluzione delle problematiche evidenziate».

Problematiche che attengono alla tutela dell’ambiente e della salute pubblica, come denunciato per oltre un anno e mezzo dalla popolazione della frazione di Quaere, in mezzo alla quale sorge l’attività industriale con annesse discariche portata avanti dalla Zanghellini Asfalti fin dagli anni Ottanta e poi continuata dalla Zanghellini Conglomerati srl nel 2013, in seguito a forti problemi finanziari accusati dalla Asfalti.
Come documentato da decine di deposizioni, oltre che da foto e video che sono finiti nel fascicolo dell’inchiesta, il passaggio di gestione è coinciso con un notevole aumento dell’attività produttiva: un ampliamento e modifica degli impianti chiesto dalla Zanghellini Asfalti e autorizzato dall’Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente il 24 gennaio 2013, con una determinazione firmata dal dirigente del Settore gestione ambientale Giancarlo Anderle piena di prescrizioni, ma non priva di sviste.

Scrivere infatti che «l’insediamento non è in prossimità di una zona residenziale» - e dunque concedere l’emissione in atmosfera di 5 mg per normal metro cubo, pari a 10 volte il valore limite di soglia, di fumi di bitume, come fatto dal Servizio provinciale - significa ignorare o far finta di non sapere che la Zanghellini opera invece tra alcune decine di case costruite a breve o brevissima distanza dai piazzali dell’azienda.
Un’attività che, come specifica però l’atto, «dà luogo ad emissioni in atmosfera di inquinanti in forma diffusa», e perciò impone una serie di obblighi tra cui «periodici autonomi controlli sulle emissioni convogliate attive», a scadenze di un anno. «Autonomi» significa programmati e gestiti dall’azienda, senza nessuna supervisione esterna: okay che i risultati sono da «conservare presso lo stabilimento per 10 anni» e da «mettere a disposizione degli organi preposti al controllo», ma la loro verifica e regolarità così non è garantita.
Quanto alle altre prescrizioni, invece, la Provincia ha scritto chiaramente che gli impianti dovevano essere condotti «secondo le migliori tecnologie possibili, adottando tutte le cautele atte a contenere il più possibile le emissioni in atmosfera», che i camion in uscita dovevano essere coperti, che aree e piazzali di lavorazione devono essere asfaltati, eccetera.
Tutte precauzioni che, stando alle denunce e alla  documentazione foto-video in nostro possesso, non sembrano essere state adottate. Col risultato di rendere l’aria irrespirabile per gli abitanti. Che si sono ribellati, mesi fa, spingendo le autorità a muoversi e la magistratura a indagare.

Non è per altro la prima volta che a sollevare il velo su casi di inquinamento sono gli abitanti della Valsugana. Il sequestro preventivo della Zanghellini Conglomerati srl si aggiunge infatti a una lunga lista di altri sequestri operati negli ultimi anni in Valsugana per gravi casi di inquinamento ambientale. Il primo riguarda il sito della ex cava di Monte Zaccon a Roncegno, avvenuto nel dicembre 2008 per iniziativa della Procura di Trento che nel caso si era avvalsa della collaborazione del Corpo forestale dello Stato di Vicenza. Dall’inchiesta, che aveva portato in carcere o ai domiciliari i vertici della società Ripristini Valsugana e coinvolto anche alti dirigenti delle Acciaierie venete spa e di laboratori di analisi, era emerso che l’ex cava era stata trasformata in discarica abusiva, dove erano stati stoccati fanghi prodotti dalle cartiere, residui di lavorazione delle acciaierie, terreni inquinati di Trento Nord e altre porcherie.

A questa inchiesta ne seguì un’altra, «Ecoterra», che portò al sequestro di quattro siti (due discariche, una bonifica agraria e un impianto di trattamento inerti), avvenuto a metà luglio del 2009 ancora ad opera del Corpo Forestale dello Stato e sempre su incarico della procura di Trento. Nel mirino, un traffico di rifiuti dalle Acciaierie Valsugana che portò agli arresti i titolari dell’impresa Boccher di Borgo e il direttore delle Acciaierie. Poi fu la volta, a dicembre 2009, dell’inchiesta «Fumo negli occhi» sulle emissioni di inquinanti dallo stabilimento delle Acciaierie, con terreni impregnati di diossina: in questo caso il sequestro dell’impianto fu identico a quello scattato venerdì per la Zanghellini. Fu infatti nominato un amministratore per mettere l’azienda in regola e non interrompere l’attività. Dodici le persone indagate.

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