L'orripilante mania del politicamente corretto
La mania di leggere tutto in chiave sessista e bisognosa di pari opportunità fa compiere abomini arbitrari e intollerabili sulla lingua italiana. Ma è una manipolazione ideologica, che non ha nulla a che vedere con la lingua italiana e con il bello stile. Il mio consiglio è di buttare alle ortiche queste imposizioni dettate dalla moda del momento e tornare ad usare il dizionario per declinare le parole, e non il prontuario del «politically correct»
La lingua italiana, a mio avviso, è una delle più belle attualmente esistenti. Ora, ben sapendo che gi idiomi (in special modo nel parlato) si evolvono fisiologicamente col passar del tempo, si tende spesso ad una evoluzione quasi patetica, sicuramente forzata, nel voler fare a tutti i costi il femminile (in «a») di tutti i sostantivi; così si sentono nomi tipo: assessora, consigliera, sindaca, corridora, presidenta, parlamentara, governatora, piemontesa, calabresa, laziala, ecc.. Sono impaziente di sentire termini come: cana, lepra, elefanta, uccella, cantanta ecc. ecc.. Che ne sarà poi di termini come guardia giurata (diventerà guardio giurato?). Ed il povero Andrea? Diventerà inesorabilmente Andreo: ne sarà felicissimo!!!! E per par condicio Consuelo, che abita in Italia, pretenderà il suo naturale femminile «italiano»: Consuela. Così se ci saranno nuovi termini come cantanta, si avrà il maschile «puro» cantanto. Per non parlare della scomparsa del congiuntivo... Cosa sta succedendo alla nostra lingua?
Marcello Moser - Cadine
Da tempo è in atto anche nella nostra splendida lingua italiana un processo di devastazione che ne sta scardinando le forme e la regola, con l'introduzione di orripilanti neologismi, ma anche inesistenti femminili e maschili «politicamente corretti». Tra i casi di parole geneticamente modificate spiccano per insensatezza le declinazioni al femminile di termini neutri con desinenza in «o» (simil-maschile): sindaco che viene trasformato in un cacofonico e arbitrario «sindaca»; direttore che passa ad un disdicevole «direttora» (quando esiste il corrispettivo più consono «direttrice»); rettore che finisce, se donna, per venir storpiato in «rettora». Non si usa ancora il termine «pretessa» come corrispettivo femminile di prete, perché la Chiesa cattolica non ha per ora ammesso il sacerdozio femminile. Ma c'è da aspettarsi di tutto. La mania di leggere tutto in chiave sessista e bisognosa di pari opportunità fa compiere abomini arbitrari e intollerabili sulla lingua italiana. Ma è una manipolazione ideologica, che non ha nulla a che vedere con la lingua italiana e con il bello stile. Il mio consiglio è di buttare alle ortiche queste imposizioni dettate dalla moda del momento e tornare ad usare il dizionario per declinare le parole, e non il prontuario del «politically correct». Perché altrimenti, di orrore in orrore, bisognerà maschilizzare il farmacista e il vigile, trasformandoli in mostruosi «farmacisto» o «vigilo». Fermiamoci fin che siamo in tempo.
p.giovanetti@ladige.it