Alimenti poco sicuri? Mangiamo italiano
Nei giorni scorsi si è scatenata una bufera sul latte in polvere contaminato dalla salmonella che ha causato l'intossicazione di 35 neonati e che ha obbligato la Lactalis, l'azienda francese che lo produce, a ritirare 12 milioni di confezioni distribuite in 83 paesi in tutto il mondo. Per fortuna in Italia questo prodotto non era distribuito, ma viene da farsi alcune domande. «Quanto sono sicuri i prodotti che mangiamo?; «Se nemmeno l'alimento che diamo ad un bambino di pochi mesi è sicuro, noi cosa mangiamo?».
Il problema della sicurezza alimentare, in un mondo globalizzato, si pone in maniera particolarmente importante. Quanto possiamo fidarci di ortaggi che vengono coltivati, anche in pieno inverno, in Olanda piuttosto che in Africa, mangiamo uva, pere, banane e frutta esotica coltivata in Sud America piuttosto che nel Sud-est asiatico, magari dopo viaggi che sono durati anche parecchi giorni.
Al di là del problema delle caratteristiche nutrizionali che questi alimenti possono garantire in termini di vitamine o di altri principi attivi, come possiamo essere sicuri che questi cibi, siano stati coltivati, conservati e confezionati in maniera corretta?
Per fortuna esiste un «Sistema di allerta rapido europeo (Rasff)» che tiene costantemente monitorate le segnalazioni da parte dei vari paesi delle contaminazioni rilevate negli alimenti commercializzati in Europa. Questo sistema registra gli allarmi per i rischi alimentari, verificatisi in Unione europea, a causa di residui chimici, micotossine, metalli pesanti, inquinanti microbiologici, additivi, coloranti, e così via. In un anno, sulle migliaia di tonnellate di cibo che vengono quotidianamente consumate, per fortuna sono state effettuate «solo» 2.965 segnalazioni.
Se da una parte è confortante sapere che esiste un sistema così efficiente a vigilare sulla salubrità di ciò che mangiamo, dall'altra parte suscita una certa preoccupazione scoprire che le segnalazioni sono a carico di diversi cibi che consumiamo quotidianamente, a cominciare, ad esempio, dal pesce spada e dal tonno pescato in Spagna, risultato contaminato da metalli pesanti. A maggior ragione la preoccupazione aumenta se consideriamo che dalla Spagna importiamo ogni anno 167 milioni di kg di pesce. Noi che siamo il paese europeo a maggior sviluppo costiero.
Dalla Turchia importiamo peperoni, risultati contaminati da pesticidi oltre i limiti di legge, ed anche pistacchi, nocciole, fichi secchi, albicocche, che in alcuni casi hanno presentato una contaminazione da aflatossine.
Le aflatossine sono considerate tra le sostanze cancerogene più pericolose. Esse vengono prodotte da funghi che colonizzano cereali, legumi, semi, e la frutta secca in genere, quando i prodotti in questione vengono essiccati o conservati in maniera impropria. I tumori al fegato da aflatossina sono particolarmente diffusi in Africa dove le derrate alimentari sono conservate in condizioni igieniche insufficienti.
Purtroppo aflatossine sono state riscontrate anche sui pistacchi provenienti dall'Iran ma anche sulle arachidi importate dagli Stati Uniti o sulla noce moscata dell'Indonesia.
Anche la carne non è esente da segnalazioni, sono state infatti riscontrate contaminazioni batteriche nei polli allevati in Polonia e in Olanda.
Questi dati dovrebbero farci riflettere e orientarci verso il consumo di prodotti di cui si conosce l'origine e tutta la filiera della lavorazione. È confortante considerare che la produzione italiana si conferma ai vertici in termini di qualità e sicurezza con pochissime segnalazioni a carico.
Forse in Trentino siamo ancora meglio. Credo che la professionalità dei nostri produttori, i protocolli di produzione, l'alta qualità dei nostri prodotti, la loro sicurezza e l'indiscutibile bontà organolettica, debbano essere comunicati ai Trentini con maggior vigore, perché non tutti riescono ancora ad apprezzare adeguatamente la carne, i formaggi, gli ortaggi, la frutta, le trote, che produciamo. Considerato che facciamo prodotti buoni e sicuri, e che abbiamo anche la possibilità economica di acquistarli, perché non ce li dovremmo anche mangiare? Ne guadagnerebbe la nostra salute e forse anche la nostra economia.
L'erba del vicino è sempre più verde, ma forse è stata trattata anche di più.