Uccise la moglie incinta, poi chiamò il 112. Le telefonate fatte sentire durante il processo a Bolzano
La difesa intende con questo cercare di sottolineare la reazione emotiva che ebbe l'imputato e sperare di ottenere un'attenuante, visto che l'uomo non fuggì ma allertò le autorità
BOLZANO. In due minuti di telefonata al numero d'emergenza 112 non riuscì a dire una parola, ma pianse in continuazione: è la telefonata fatta la mattina del 30 gennaio 2020 da Mustafa Zeeshan per informare le autorità che sua moglie era morta. Non si può parlare di richiesta di soccorso, visto che la donna era deceduta ormai da diverse ore: era stato lui stesso ad ucciderla, picchiandola e soffocandola, nella casa in cui vivevano a Versciaco, in val Pusteria.
La coppia di giovani pakistani - lei aveva 28 anni, lui dieci di più - aspettava un figlio: Fatima era infatti incinta all'ottavo mese. Lui la uccise, per un movente ancora da verificare, la notte precedente. Subito dopo la telefonata al 112, alle 10.26, Mustafa venne richiamato dalla stessa centrale, che riuscì almeno a localizzare l'indirizzo in cui si trovava l'uomo, facendo subito intervenire sul posto un'ambulanza.
Le varie telefonate, con il pianto ininterrotto di Mustafa, sono state fatte ascoltare nel corso dell'udienza del processo, in Corte d'assise a Bolzano, su richiesta della difesa, che intende con questo cercare di sottolineare la reazione emotiva che ebbe l'imputato e sperare di ottenere un'attenuante, visto che l'uomo non fuggì ma allertò le autorità.