La denuncia di una mamma nonesa Parto da incubo, mai più a Cles

Ecco la lettera-denuncia di una mamma della Valle di Non

In questi ultimi tempi ho sentito e letto molti discutere su cosa sarebbe meglio fare con i piccoli centri nascita, se lasciarli aperti per avere un punto di riferimento vicino a casa o chiuderli affidandosi così a reparti molto più grossi. Vorrei quindi raccontarvi i miei due parti. Il primo l'ho avuto a Cles, il secondo a Bolzano. Sono rimasta incinta per la prima volta a 18 anni, ero giovane, sana e la gravidanza procedette senza particolari disturbi fino a quando notai che le mie caviglie cominciarono a gonfiarsi. A 28 settimane, in occasione dell'immunoprofilassi per RH negativo, feci notare il piccolo disturbo che mi era insorto al mio ginecologo, che mi congedò dicendomi che era normale. Mi consigliò di diminuire soltanto un po' il sale e che ci saremmo visti il mese dopo per la visita di controllo. All'appuntamento successivo trovai un'altra ginecologa che, notando il gonfiore che ormai era esteso a tutto il corpo a tutto il corpo, mi misurò subito la pressione: 150/100.

Subito si allarmò e mi mandò in pronto soccorso a Cles. Lì mi dissero che avevo la gestosi (preeclampsia) e che dovevano tenermi sotto osservazione con proteinuria costante, monitoraggi e pastiglie per abbassare la pressione, che però rimaneva sempre abbastanza alta. Dopo 15 giorni di ricovero decisero che la nascita prematura del bimbo sarebbe stata meno pericolosa della permanenza nell'utero materno, quindi tentarono con l'induzione. Cominciarono a tenermi a digiuno, alimentata solo con flebo, dal venerdì. Loro dicevano di farlo per sicurezza, nell'eventualità in cui avessero dovuto farmi un cesareo ma, per l'induzione, non c'era alcuna controindicazione rispetto al mangiare. Arrivai così a domenica, privata, a mio parere, di parte dell'energia che mi avrebbe dato anche solo un piatto di pasta. Al mattino mi posizionarono la fettuccia che, dopo poche ore, cominciò a fare il suo dovere. Le contrazioni erano però blande e irregolari così, la mattina del giorno dopo, mi ruppero le membrane e mi diedero una flebo di ossitocina. Lì le contrazioni cominciarono ad essere più forti e mi portarono in sala parto. Nel frattempo altre due donne erano arrivate in ospedale e si accingevano a partorire.

Le ostetriche così andarono da loro lasciando me e mio marito in quella stanza da soli. Io non sapevo bene cosa dovessi fare, che posizioni assumere, come assecondare quelle contrazioni per riuscire a dare alla luce il mio bambino. Sentivo solo che, dopo poco, le altre avevano tra le braccia i loro pargoletti e io ero ancora là, senza nessuno che mi aiutasse. La sera di lunedì mi convinsero che facendo l'epidurale si sarebbe sbloccato tutto e la dilatazione sarebbe andata avanti. Arrivai a dilatazione 8 cm (ne mancavano due). Quella notte allora decisero che era meglio un cesareo. Io non avrei mai voluto ma non c'erano alternative. Mi prepararono e mi portarono in sala operatoria. Per l'anestesia mi fecero un rabbocco tramite il tubicino dell'epidurale. Mi legarono e cominciarono a darmi dei pizzicotti per essere sicuri che la zona interessata fosse ben anestetizzata. Io glielo dissi che il pizzicotto lo sentivo. Sta di fatto che hanno comunque cominciato a tagliare. Io urlavo, li pregavo di smettere, ma niente, non mi hanno neanche concesso un'anestesia totale, cosa che, in questi casi, è l'unica soluzione.

Così, tra le mie grida di dolore, nacque il mio primogenito a 35+6 settimane. In sala operatoria lo vidi solo il tempo per un rapido bacio, dopo che la ginecologa esortò la donna che lo aveva in braccio a farmelo vedere, sennò non sembrava averne intenzione. Lo misero in una culla termica e lo portarono subito nel nido per controllare che stesse bene. Fortunatamente il mio ometto era grande per l'età gestazionale e stava bene! Mio marito lo vide così per la prima volta, urlante in quella culletta, senza la possibilità di prenderlo in braccio e calmarlo, anche dopo i vari controlli e il bagnetto. 

Arrivata in camera me lo portarono quasi subito, e potei cominciare ad allattarlo. Il giorno dopo vidi di nuovo il medico che era in sala operatoria e, con il groppo in gola, gli chiesi spiegazioni di quello che era successo quella notte ma lui, in tutta risposta mi disse che dovevo «ringraziarlo perché in Africa le donne muoiono di gestosi», come se fossimo nel terzo mondo. L'anestesista non si fece vivo. In un secondo momento mi dissero che probabilmente pensava che i miei urli fossero dati dall'agitazione.
In ogni caso andai avanti, l'allattamento al seno fu la mia salvezza e, dopo nove mesi, nonostante attacchi di panico regolari, cominciai parzialmente a superare il trauma di questo parto.
Dopo tre anni io e mio marito decidemmo di provare ad avere un altro figlio e rimasi incinta quasi subito. Volevo assolutamente un parto naturale ma avevo tanta paura, non del male del parto, avevo sentito di peggio, ma di non riuscire a farcela e di dover fare un altro cesareo.

In Italia il parto naturale dopo cesareo, non è visto bene dai ginecologi, nonostante abbia meno controindicazioni di un secondo cesareo, per loro un'operazione è più pratica e veloce, quando i bimbi sono grandi poi?
Nell'ospedale di Cles, neanche a dirlo, non riponevo più la mia fiducia così scelsi di partorire a Bolzano. Nonostante i 45 minuti di macchina in più che mi separavano li vedevo più esperti, competenti e mi davano sicurezza: tutti erano convinti che sarei riuscita ad avere il mio tanto desiderato parto naturale.

Arrivai al giorno del termine ma era tutto tranquillo. Quattro giorni dopo però mi si ruppero le acque. Dopo alcune ore mi recai a Bolzano dove cominciarono a monitorarmi. Le contrazioni però erano ancora irregolari e il travaglio non era ancora cominciato. L'ostetrica regolarmente veniva a vedere come stavo e poi mi lasciava tranquilla con mio marito. Era un ambiente tutto diverso, io ero diversa, tranquilla e ottimista. Di liquido amniotico ce n'era in abbondanza e mi dissero, senza scomporsi, che il bambino era grande ma, tranquille loro, tranquilla io. Mi diedero colazione, poi pranzo. Alle 16 cominciò il travaglio e mi portarono in sala parto dove una bravissima ostetrica mi seguì senza lasciarmi un momento. Mi consigliò le posizioni migliori, controllò il monitoraggio e mi diede sostegno. Nutrì la mia determinazione, che con un pregresso cesareo è indispensabile. Anche lei tifava per me e voleva che raggiungessi il mio obbiettivo facendomi vivere nel miglior modo possibile il mio parto. Dopo un paio d'ore però le contrazioni cominciarono a rallentare. Arrivò la ginecologa e mi propose un po' di ossitocina. Se le cose non avessero trovato uno sbocco a breve termine, si sarebbe però arrivati al secondo cesareo. Ero a dilatazione 8 cm e sembrava che l'incubo si stesse ripetendo. Dopo un momento iniziale di sconforto, con l'aiuto di mio marito e della mia ostetrica, decisi che non avrei permesso alle parole di una ginecologa di scoraggiarmi, non sarebbe servito il cesareo!

Cominciarono a darmi poche gocce di ossitocina con una flebo e accolsi quelle contrazioni, che di naturale hanno poco, con respirazione e cambio di posizioni. Verso le 23 ero dilatata di 9 cm e cominciai ad avvertire le prime spinte. Il mio bambino voleva uscire e sentivo che con i piedini si spingeva verso il basso, cosa che mi ha dato una carica immensa e, se possibile, fui ancora più determinata. Dopo un'ora non era ancora nato ma l'ostetrica mi spiegava che il bambino doveva «aprirsi» pian piano il canale del parto e quindi rimasi tranquilla. Arrivai a dilatazione completa e continuai a spingere. Finalmente uscì parte della testa e, con la spinta dopo, grazie anche a una rapida manovra dell'ostetrica per metterlo dritto nacque il mio secondogenito, un bellissimo bimbo di 4,540 kg per 54 cm. Viste le dimensioni e come era posizionato non credo che in un altro ospedale mi avrebbero lasciato i miei tempi per partorire in modo naturale. Me l'hanno subito messo sul petto e ho potuto cominciare ad allattarlo in sala parto. Quando il cordone ha smesso di pulsare mio marito, commosso, lo ha tagliato e, mentre a me davano i punti dove mi ero lacerata, lui lo ha preso in braccio e, cantandogli delle dolci canzoncine, lo fece addormentare. Una gioia indescrivibile. La mia vittoria più bella! Con la sua nascita sono rinata anch'io! Ora non piango più per il male che mi ha fatto il mio cesareo, ma piango dalla gioia che mi ha dato il mio parto naturale.

Dopo poco tempo dalla sua nascita però cominciai a perdere troppo sangue ma prontamente le ostetriche mi diedero una flebo che bloccò l'emorragia e con frequente regolarità venivano a controllare che stessi bene. Sono convinta che se con il primo parto fossi andata in un ospedale maggiore come Bolzano o Trento non avrei vissuto un'esperienza neanche lontanamente simile a quella di Cles. Non dico che il cesareo in quel momento non servisse, ma con un po' di assistenza in più, senza lasciarmi a digiuno per così tanto tempo, magari sarei riuscita anche a dare alla luce il mio bimbo e, nel caso di un cesareo non sarebbe stato un evento così traumatico come potete immaginare sia stato. Al contrario sono convinta che in un ospedale come Cles non avrei avuto il mio bellissimo parto naturale, l'esperienza più bella della mia vita, sia per la poca fiducia che ormai nutro nella struttura, sia per la diversità di organizzazione. A Cles, infatti, il reparto di ostetricia è gestito da ginecologi mentre a Bolzano è gestito dalle ostetriche, come giusto che sia. Loro sono specializzate sulla gravidanza e parto fisiologico e, nel caso di complicazioni, chiamano loro il ginecologo. La domanda mi giunge spontanea: meglio affidarsi a strutture con poche centinaia di parti annui o strutture molto più grandi, abituate ad ogni tipo di situazione ed emergenza? 

Tutti lo speriamo, ma non è detto che le cose vadano sempre bene. Può succedere a chiunque una minima complicanza, che in strutture dove non sono in grado di affrontarla può diventare una situazione grave.

comments powered by Disqus