Pescatore toccò i cavi dell'alta tensione con la canna e morì folgorato: il giudice respinge la richiesta di archiviazione
Nei guai Provincia, Terna e Comune per il dramma dell'anno scorso in cui perse la vita Dajko Bardosh, 52 anni. I legali della famiglia: «Questa tragedia non si poteva liquidare come se fosse stata una semplice fatalità»
TRENTO. Niente archiviazione. Anzi nel procedimento aperto per la morte di Dajko Bardosh, il pescatore folgorato nel giugno dell'anno scorso in val di Sole dopo aver agganciato i cavi dell'alta tensione, si procede alle iscrizioni nel registro degli indagati per un'ipotesi di omicidio colposo.
Il giudice Enrico Borrelli - accogliendo le richieste dei legali della famiglia, gli avvocati Angelica Domenichelli e Andrea Bolner - ha respinto la richiesta di archiviazione invitando la pm Alessandra Liverani a iscrivere nel registro delle notizia di reato i legali rappresentanti delle persone giuridiche coinvolte (salvo deleghe) Terna Rete Italia, Provincia di Trento e Comune di Ossana.
Gli atti dunque tornano al pubblico ministero. Il 52enne di origini albanesi, gestore di una pizzeria in val di Sole, esperto pescatore, quel giorno si ritagliò un paio d'ore di riposo per scendere al fiume Vermigliana a Cusiano. Ma la sua canna in carbonio agganciò i cavi dell'alta tensione provocando una scarica elettrica micidiale: Bardosh morì all'istante, folgorato, con il corpo in parte carbonizzato (agli atti c'è anche il video, ripreso dal centro di rafting, che mostra il fumo provocato dalla scossa).
Secondo la procura non ci sarebbero responsabilità di rilievo penale anche perché le distanze da terra dei cavi dell'alta tensione erano state rispettate (oltre 6 metri tra i piloni 3 e 4, quindi entro il limite stabilito dal RD 1969/40).Per i legali della famiglia questo elemento non è decisivo.
Quel che conta è la posizione di garanzia assunta da Terna Rete Italia, Provincia di Trento e Comune che non avrebbero previsto misure di sicurezza per prevenire i rischi di folgorazione, neppure un semplice cartello che avvisasse del pericolo.
Il giudice Borrelli nel respingere l'archiviazione del fascicolo sottolinea che non c'è stata alcuna anomalia nella condotta da parte di Bardosh: la sua canna era regolamentare, il luogo scelto per gettare l'amo era aperto, il pescatore aveva il permesso richiesto per la pesca in quei luoghi.
Eppure il pericolo di folgorazione da contatto, alla luce delle altezze consentite e delle ordinaria condotte della pesca sportiva, secondo il giudice risulta essere «concreto ed attuale».
Di fronte ad un rischio così reale l'unica cautela era una nota presente sul permesso di pesca che raccomandava la massima prudenza nell'utilizzo delle canne al carbonio in prossimità del fiume per la presenza di linee elettriche da alta tensione.
Invece è pacifico, come risulta anche dalle indagini difensive, che il luogo fosse facilmente accessibile e soprattutto privo di cartelli che avvisassero del pericolo.
Soddisfazione viene espressa dagli avvocati Domenichelli e Bolner.
«Questa tragedia non si poteva liquidare come se fosse stata una semplice fatalità. Siamo contenti soprattutto per la famiglia Bardosh».
I legali hanno depositati agli atti anche gli interventi di politici e amministratori che a più riprese hanno sollecitato l'interramento della linea dell'alta tensione in una zona paesaggisticamente di grande pregio ma anche frequentata dalla popolazione.
Tra questi Dajko Bardosh, appassionato di pesca morto in circostanze incredibili. Forse - lo sapremo da un eventuale giudizio - per colpa di chi non prese semplici misure di sicurezza.