Sergio Marino se n'è andato «Aveva un cuore generoso»
Figlio dell'ex assessore di Riva del Garda Luigi Marino, aveva 38 anni e fin dall'età di 11 soffriva di una forte forma di diabete
C'è un dolore più grande di quello di un padre che perde il proprio figlio? Noi non riusciamo ad immaginarne uno più lacerante. La carne della tua carne, colui al quale anche tu hai donato e dedicato la tua vita che improvvisamente, ancora giovane, se ne va per sempre. E tu resti lì incredulo, con quella ferita che ti squarcia il cuore e l'anima, che ti toglie il respiro, che ti gonfia gli occhi di lacrime. E magari anche con un pizzico di rabbia verso un sistema che spesso, molto spesso, considera i ragazzi malati come un problema da risolvere e non come persone da aiutare.
Sergio Marino aveva 38 anni, li aveva compiuti il 23 aprile. Sergio è morto venerdì pomeriggio in un letto del reparto di terapia intensiva del S. Chiara di Trento, il giorno prima di quello che sarebbe stato il sessantottesimo compleanno della mamma Silvana Groff, scomparsa nel luglio del 2011. Sergio Marino era il primogenito di Luigi Marino, per anni amministratore pubblico, assessore verde del Comune di Riva, architetto e professionista serio e apprezzato. La vita di Sergio è oscillata tra dolore e speranza. All'età di 11 anni gli è stato diagnosticato il «diabete mellito» e chiunque può immaginare cosa significhi per un bambino dover fare i conti con questa malattia. «I primi anni - ricorda papà Luigi, il volto scavato dalla sofferenza e dalle lacrime copiose e intrise di tristezza - l'aveva accettata come un gioco. Io e Silvana gli avevamo regalato anche un gioco a forma di corpo umano per fargli capire meglio cosa aveva. E al primo ricovero in ospedale ha voluto fare un disegno per spiegare agli altri la sua malattia».
Sergio va a scuola, è un ragazzo vivace come i suoi coetanei, come tutti i bambini di quell'età. Ma non può fare tutte le cose che fanno i bambini della sua età. «La malattia colpisce nel fisico ma soprattutto sul piano psicologico - osserva ancora papà Luigi - E ha costretto Sergio, come costringe tanti altri bambini e ragazzi, ad un'adolescenza vissuta pensando soprattutto a quello che non possono fare». Sopraggiunge la depressione ma Sergio vuole vivere. Lavora come cameriere, lavapiatti, aiuto cuoco, trova un impiego alla Brico di Rovereto. Gli viene diagnosticato un'invalidità del 67% che gli dà diritto ad una pensione minima di 280 euro. Per un minimo di dignità personale, perché nel frattempo Sergio continua a darsi da fare. Succede però che un solerte funzionario provinciale verifichi che Sergio ha smesso di assumere antidepressivi: niente farmaci, invalidità ridotta e pensione minima ritirata. E chi se ne frega della dignità di quel ragazzo.
Il resto è storia di questi maledetti giorni di metà ottobre. La solita telefonata di martedì sera, il cellulare che squilla a vuoto il giorno seguente, papà Luigi che si precipita a casa di Sergio, lì vicino alla sua, in viale S. Caterina e trova il corpo del suo ragazzo riverso a terra accanto al divano, apparentemente senza vita. Un'ulcera terribile e poi l'arresto cardiocircolatorio. Infermieri è medici del 118 lo riprendono, in elicottero viene portato a Trento ma venerdì pomeriggio si spegne anche l'ultima fiammella di speranza.
Ultimamente Sergio lavorava al «Gatto Nero» ad Arco e lì come altrove sapeva regalare un sorriso ed entrare nel cuore delle persone. «Riusciva a farsi voler bene da tutti - ricorda papà Luigi - Aveva un cuore generoso e una testa meravigliosa». Ma dentro viveva un tormento psicologico. «Il nostro sistema socio assistenziale - considera ancora Luigi Marino - considera questi ragazzi un problema da risolvere, non persone da aiutare. I ragazzi devono continuare ad andare a chiedere e spesso non sono in grado di farlo, per pudore, per vergogna. E finiscono per stancarsi. Il sostegno non può scattare dai malati ma deve partire da una rete strutturata pubblica che deve farsi carico di queste persone dall'accertamento della malattia. Mio figlio è morto. Ma vorrei dare una voce in più per i tanti ragazzi che vivono la sua stessa condizione».