Fabbriche / I salari

Cartiere dell'Alto Garda, a Natale mille lavoratori restano in cassa integrazione

Il commento di Pomini, della Cisl: «I problema riguarda tutto il settore. I grandi clienti si sono spaventati dal continuo aumento del costo del gas e hanno messo fieno in cascina. Fino a settembre, si è ricorsi alle ore di straordinario per soddisfare le richieste, poi il brusco stop»

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di Nicola Guarnieri

ALTO GARDA. Sono poco meno di un migliaio i lavoratori che passeranno le vacanze di Natale a casa perché le fabbriche hanno chiuso. Sono gli addetti delle cartiere, stabilimenti che dopo aver venduto oltre ogni previsione - con fatturati cresciuti ben oltre il 30% nella prima parte dell'anno - si trovano adesso a fare i conti con zero commesse. Perché i clienti, spaventati dall'instabilità dei prezzi del gas e della guerra, hanno fatto scorta in primavera-estate riempiendo i propri magazzini.

Non stiamo parlando di licenziamenti, attenzione, ma di cassa integrazione che, a conti fatti, significa salari decurtati di un bel po' che arrivano all'incirca a mille euro. Poco, visti i prezzi che continuano a crescere e le bollette in arrivo per scaldarsi e che proprio per questo fanno paura. Fino al 9 gennaio, però, in reparto non si torna e chi può cerca di smaltire ferie e permessi arretrati per mantenere la busta paga a livelli normali.

«I problema c'è e riguarda tutto il settore - spiega Lorenzo Pomini della Cisl - I grandi clienti si sono spaventati dal continuo aumento del costo del gas e dal conflitto in Ucraina e hanno messo fieno in cascina. Tanto che fino a settembre le richieste sono state moltissime e si è dovuti ricorrere a tante ore di straordinario per soddisfare le commesse. Poi c'è stato il brusco stop».

Già al passaggio di stagione si sono avute le prime avvisaglie con cassa integrazione a singhiozzo. L'unico a non interrompere la produzione era stato il gruppo Fedrigoni ma, a fronte di nessun nuovo contratto, è stato costretto a fermarsi. Come detto fino al 9 gennaio.

«Ripeto, riguarda tutto il comparto non solo da noi. Certo, c'è chi lavoricchia ma ormai tutti hanno raschiato il fondo del barile e stanno aspettando l'inizio di gennaio per vedere se riprendono altri ordini. Anche perché i magazzini riempiti nel frattempo dovrebbero svuotarsi».

Dalle stelle alla stalle, insomma, con vendite record per tre quarti dell'anno e poi il ricorso alla cassa integrazione perché non c'è più nulla da produrre. Quindi tutti a casa, operai e amministrativi. «Ovviamente si è cercato di puntare prima di tutto sugli arretrati in modo da non trovarsi con pochi soldi in busta».

Alcuni, come Cartiere del Garda, hanno comunque deciso di accollarsi l'aumento dei buoni pasto e di concedere un ulteriore buono carburante di 200 euro ai dipendenti. In attesa, appunto, della ripresa. «Resta una situazione strana visto che nel 2021 a Natale si è lavorato perché c'erano tante richieste. Intanto, chiaramente, i commerciali cercano altri mercati anche lo scenario si è complicato con la guerra più che per il prezzo del gas che si stabilizzato».

Gli accordi sono stati firmati con le Rsu delle fabbriche e con i sindacati ed ora non resta che aspettare tempi migliori. «Bisognerà capire cosa succederà - conferma Alan Tancredi della Uil - il ricorso alla cassa è formalizzato ma si utilizzano prima le ferie e i permessi arretrati per tenere la busta paga piena. C'erano anche tesoretti con ferie messe da parte da qualche lavoratore ma se ci saranno problemi a inizio dell'anno prossimo si dovrà ricorrere solo alla cassa integrazione, con mille euro al mese e non di più. Ovviamente speriamo tutti che il mercato esaurisca questa fase e si torni a produrre carta. Purtroppo è stato un anno schizofrenico: forti richieste di straordinari per stare dietro alla clientela fino ad agosto e poi, da settembre, più niente».

Alla base di questa «schizofrenia» commerciale, assicurano i sindacati, «c'è soprattutto il dato psicologico, con l'aumento del costo delle materie prime e del gas. E quello del gas adesso è un problema di tutti, non solo delle aziende ma anche delle famiglie. Per questo serve una strategia europea per tenere i prezzi bassi».

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