Chiude dopo 90 anni l'ortofrutta Demattè: a fine dicembre giù le serrande della storica boutique. Il saluto ai clienti - Video
Addio piazza Duomo, per il titolare e la moglie è arrivata l’ora della pensione: “Fino agli anni ‘70 i trentini erano abituati a polenta, crauti e mele. Da noi hanno trovato frutti da tutto il mondo”. Arriverà una gelateria
TRENTO. I colori sono un tripudio, perché «anche (e soprattutto) l'occhio vuole la sua parte».
Nemmeno la tavolozza di un pittore impressionista riesce ad accendere così lo sguardo di chi osserva. La disposizione certosina e meticolosa, è studiata ma senza artificio. E frutta e verdura sembrano piccole opere d'arte pop.
Grisotti e finferli nostrani strizzano l'occhio agli esotici e coloratissimi nashi (pera-mela asiatica), lime brasiliani, passion fruit, avocado e mango. Le noci pecan stuzzicano il palato dei clienti vicino a un trionfo di frutta secca disidratata.
Ben ottanta varietà di frutta secca sfusa.
L'ortofrutta Demattè di piazza Duomo a Trento è forse l'unica "boutique" della verdura e della frutta rimasta in città, solido caposaldo del commercio trentino di un tempo nel salotto buono del tessuto urbano, ormai terra di conquista di catene e franchising. Ma tra poche settimane, a fine anno, chiuderà anche questo storico baluardo di commercio al dettaglio trentino. Decisione dolorosa per la famiglia Demattè, che ha avviato l'attività quasi novant'anni fa, nel lontano 1933. Ma inevitabile.
«Era l'ora di tirare il fiato» commentano soddisfatti e senza rimpianti i titolari, Stefano Demattè, terza generazione della gestione, e la moglie, Cristina Dallapè. «I clienti che l'hanno saputo (la notizia della cessata attività era filtrata sommessamente da qualche tempo, ndr) sono sorpresi - ammette Stefano Demattè - e qualcuno è anche simpaticamente arrabbiato.
"Dove andrò adesso?!" mi dicono. Ma ho sessant'anni, ho iniziato a lavorare a 17. Ho i contributi per andare in pensione e dico a tutti, scherzando ma non troppo, che in realtà ho lavorato 86 anni, non 43. Perché? Perché lavoro almeno 70 ore alla settimana, il doppio dell'orario medio di un lavoratore...». Pensione più che meritata, dunque. Per dedicarsi all'orto, alla passione per la coltivazione di piccoli frutti in proprio e ai nipotini.
«I nostri tre figli - sorridono Stefano e Cristina - ci hanno dato una mano tante volte, dedicando al negozio tempo prezioso della loro adolescenza, ma hanno scelto altre strade professionali. I nostri cinque dipendenti, che per noi sono una famiglia, non se la sono sentita di continuare». Dopo alcune trattative e interessamenti vari, i Demattè sono riusciti a trovare gli eredi per lo spazio commerciale all'angolo tra piazza Duomo e via Cavour, sotto il portico di nord-ovest della piazza. Non più ortofrutta, però. Arriverà una gelateria, a inizio 2022. Con Carlo Villotti, titolare della vicina locanda del Gato Gordo e figlio di quel Claudio che per anni ha fatto i gelati al ponte dei Cavalleggeri.
Ancora un mese e mezzo di lavoro intenso, in vista delle feste natalizie. Cristina è specialista dei cesti di Natale personalizzati. Stefano è orgoglioso di rinnovare la vetrina tutti i giorni, con prodotti di stagione. E anche delle sue levatacce alle 2 di notte per scendere al mercato ortofrutticolo di Verona a scegliere le primizie di buon mattino. La forza del Demattè è stata, negli anni, la varietà dell'offerta: 200 tipi diversi di prodotto fresco. Ben venti tipi di insalata, dieci di pomodori. «Varietà e alta qualità devono contraddistinguere una realtà come la nostra dalla grande distribuzione - fa notare Stefano - ma anche la capacità di consigliare il cliente, che da noi è disposto a spendere qualcosa di più. E la voglia di scambiare quattro chiacchiere con tutti».
La storia dell'ortofrutta Demattè (originari di Penedallo, nel territorio di Civezzano) cominciò nel 1933 con nonna Maria Vanzetta, che aprì un negozio in San Martino per vendere i prodotti dei propri orti. Con lei il marito Alfonso Demattè. Tra gli otto figli (due maschi e sei femmine), fu Beniamino, il primogenito, a continuare, con la moglie Argìa dagli anni sessanta. Nell'anno del bombardamento della Portèla, il 1942, il negozio era stato trasferito in piazza Duomo, dove oggi c'è una gioielleria (Cuel) e dal 1966, l'anno della grande alluvione, la collocazione attuale (al posto di un barbiere e di un piccolo laboratorio di calzolaio).
Nel 1968 entrò nel negozio il figlio Corrado, seguito da Stefano nel 1979. Nel 1988 si ritirò Beniamino, anche Corrado fece altre scelte e Stefano e Cristina continuarono da soli. Pur rimanendo un negozio al dettaglio, hanno rifornito ristoranti stellati come la Locanda Margon di Alfio Ghezzi. E hanno portato un po' di mondo in città: «Fino agli anni settanta i trentini erano abituati a polenta, crauti, mele. Qui da noi hanno trovato frutti da tutti i continenti».
Hanno visto crescere Trento come città turistica («Non riempiamo sempre questa piazza di strutture per eventi: lasciamola un po' più libera, ai turisti piace tantissimo») e cambiare il commercio in città: «Negli anni Settanta - ricorda la coppia - in città e sobborghi c'era un centinaio di rivendite di frutta e verdura. Oggi ci si conta sulle dita di una mano».