Scappa dalla Rsa a 92 anni, il presidente Gazzi: «Per tanti anziani le Case di Riposo non sono l’ideale»
Il presidente della Cesare Benedetti: «Le Apsp sono nate per accogliere persone che volevano starci, ora è tutto cambiato. Serve una riflessione generale». Problema diffuso in tutte le strutture trentine: manca personale. Lavagnino (Nursing Up): «E sarà sempre peggio, servono risorse e progetti»
MORI. Non facciamoci illusioni. L'attuale carenza di personale sanitario si farà sentire ulteriormente nei prossimi anni con gravi e pesanti ripercussioni sulla qualità dell'assistenza sanitaria a tutti i livelli, soprattutto per le persone più anziane.
La "rocambolesca" fuga (come raccontato da l'Adige) del 92enne dalla Rsa Cesare Benedetti di Mori apre, al di là delle modalità del "piano di evasione" studiato nei minimi dettagli dall'anziano ospite, un nuovo fronte di discussione e di preoccupazione: quello legato alla gestione degli ospiti in strutture protette secondo parametri del personale «non più adeguati alle reali caratteristiche e condizioni degli ospiti presenti».
Perché, come affermano i vertici della Rsa moriana, «vanno ripensate le modalità complessive di gestione di strutture, come la nostra e come tante altre presenti in tutta la provincia, nate con determinate caratteristiche in un determinato periodo e non più adeguate alle nuove esigenze mutate nel tempo». E proprio perché sono cambiate la tipologia degli ospiti e le modalità di assistenza, è necessaria, afferma il presidente della Cesare Benedetti Gianmaria Gazzi «una riflessione ad ampio raggio sul ruolo e sulle capacità delle Apsp che, nate per accogliere anziani che entravano in casa di riposo per propria libera scelta, si trovano sempre più spesso a gestire casi difficili e che non trovano più idonea collocazione in strutture dedicate».
E qui non manca un richiamo alla Provincia chiamata in causa vista «la necessità di un aggiornamento dei parametri del personale». Personale insufficiente rispetto alle nuove esigenze e necessità, nonostante nel caso di Mori, sia superiore rispetto a quello del parametro «altrimenti queste strutture non starebbero in piedi».
Il riferimento di Gazzi ai "casi difficili" riguarda proprio l'episodio dell'altro giorno (e ancora prima alla tragica vicenda di Pietro Tomei ritrovato morto nell'Adige dopo la fuga dello scorso marzo), sintomatico di una situazione difficile da gestire: «Il problema è che le persone che vengono accolte hanno problematiche molto più difficili da gestire o che richiedono più assistenza. Le nostre non sono strutture come dire chiuse. Non siamo né un ospedale, né una prigione e nemmeno un manicomio: è chiaro che la caratteristica della volontà delle persone a stare all'interno di queste strutture è fondamentale» puntualizza il presidente.
«Dall'altra è altrettanto evidente che più persone in condizioni di demenza, problemi cognitivi o psichiatrici gravi hai nella struttura è più servirebbe personale che però non è riconosciuto nelle rette che vengono pagate. Noi abbiamo investito in sistemi di controllo... ma le fughe dalle Rsa è storia. Chiaro che se invece di una o due persone ne ho venti o trenta la questione cambia. Possiamo fare al massimo per gestire le persone all'interno della struttura, ma se una persona non ci vuole stare, soprattutto se ha dei tratti di lucidità, come fai a trattenerla? Dov'è il limite al quale imporre un intervento di quel tipo?».
«Le tecnologia ci verrà in aiuto, ma resta la questione della dignità e della volontà delle persone: se perdiamo di vista queste due cose costruiamo di nuovo dei ghetti che spero di non vedere più». Durante il Covid, ricorda Gazzi, «tutti a sperticarsi per dire che bisogna fare nuovi investimenti dopodiché passata l'emergenza mi pare non sia cambiato nulla. Dobbiamo iniziare a discutere di quanto devono essere grandi queste strutture, quanti posti letto servono, qual è il parametro del personale che serve, le competenze che servono, i finanziamenti perché si fa presto a fare demagogia sulle rette... Non c'è una leva economica che ci permette di dire "vabbé prendiamo più personale". No non lo possiamo fare...».
«Il problema della carenza di personale è già grave ora e diventerà, lo dicono i dati e le statistiche a livello europeo, sempre più impattante - conferma Fabio Lavagnino, dirigente del Nursing Up Trento (sindacato infermieri) - Il problema è come gestire queste persone anziane. Le case di riposo non possono essere la soluzione generale, ma non ci sono però grosse alternative in giro. La situazione è che nei prossimi anni mancherà personale sanitario in misura notevole che si occuperà anche di assistenza domiciliare, ma mancheranno anche le risorse».
Aggiunge: «La politica e la Provincia cercano soluzioni che non sono facili considerando anche l'incremento dell'aspettativa di vita: la sfida sarà come gestire persone sempre più anziane e con diverse patologie ed esigenze. La questione non è la preparazione dell'infermiere o dell'operatore sanitario, sono i numeri che devono gestire, numeri spesso impossibili. Rivedere i parametri? Sì, certo, ma il tema è come trovare le risorse e incentivare le persone a svolgere questa professione. Purtroppo gli investimenti nella sanità arrivano dopo tutto il resto...».