Simposio sul «bicò»
Sala piena, l’altra sera, all’hotel Aurora di Cimego, dove si è tenuto il simposio annuale sul «bicò». Gli aderenti a «Culturnova» (l’Associazione cultural-agricola nata per spingere fra l’altro la promozione e lo sviluppo di un vino autoctono del Chiese), gli amministratori pubblici e qualche curioso hanno ascoltato il tecnico della Fondazione Edmund Mach, Marco Stefanini, illustrare lo stato dell’arte, hanno dialogato e fatto domande. «Bicò» nome storico del vino di queste parti: vino per stomaci veri, proveniente dalle vigne americane accoccolate sui pendii assolati della valle. Non c’è più, naturalmente. Sostituito da chardonnay, muller, kerner e da qualche vigna resistente (bronner, cabernet cortis, solaris...).
Idea di qualche anno fa, accolta dal Consorzio Bim del Chiese, ufficiale pagatore di tante iniziative: perché non coltivare un vino autoctono della valle? Detto, fatto. Si incarica l’Istituto di San Michele di studiare un vitigno, che con il vecchio «bicò» non c’entra nulla. I tecnici si mettono all’opera sperimentando bianchi (incrocio moscato malvasia) e i rossi (incrocio teroldego lagrein); alcuni produttori si offrono; vengono selezionati i territori, a Storo, Condino e Praso, bassa, media e alta valle.
Dalle numerose sperimentazioni si selezionano cinque bianchi e cinque rossi, che ogni anno accarezzano il palato di tecnici e produttori, i quali devono capire quale sia il migliore, o quantomeno il più adatto al terreno ed al clima non proprio amichevole della valle.
Proprio il clima non ha permesso, in particolare negli ultimi due anni, una maturazione all’altezza delle aspettative. Troppe piogge (mille millimetri nella stagione vegetativa) sono un livello poco sopportabile per garantire una qualità sufficiente. Però, a detta dei tecnici, soprattutto la bacca bianca presenta parametri sufficienti per poter dare un reddito agli agricoltori, tant’è che è già stata certificata. Giudizio positivo (qui ci dovremmo addentrare nelle schede tecniche) rispetto alla ricchezza di polifenoli ed antociani, ma qui sarà il caso di fermarsi. Più problematica la bacca rossa, che è ancora in fase di studio per capire quale vitigno sia il più adatto. Certo, la stagione 2014 non ha aiutato. Si spera nell’annata 2015.
Alla fine, comunque, soddisfazione per gli esperimenti, che continueranno. La sala piena più delle altre volte ha fatto capire agli organizzatori che l’interesse rispetto a questa nuova produzione è in aumento. Ora si tratta di passare dall’interesse alla pratica, operazione non semplice. Il «Progetto Bicò» ha mosso i primi passi nel 2010, promosso dal Consorzio Bim su sollecitazione di Claudio Luchini con un obiettivo: dare al Chiese un vitigno autoctono, riscoprendo un vino della tradizione. Il Bicò, appunto, che tuttavia non è quello aspro, per stomaci veri, che bevevano i nostri padri. Questo Bicò, infatti, è il frutto dello studio a tavolino (anzi, in laboratorio) commissionato alla Fondazione Mach di San Michele all’Adige.